Di solito, molto di solito, quando trovo un libro, un volume, un albo pluripremiato, osannato e chi più ne ha più si accinga a metterne, sono propenso a lasciarlo sullo scaffale in cui si trova. Repulsione spasmodica mi batte dentro, come se ciò che mi si propinasse fosse proprio peste bubbonica, lebbra o, più semplicemente, qualcosa che potrebbe solo essere deludente e non all'altezza delle aspettative.
Sono fatto così.
Considerato un capolavoro del fumetto contemporaneo, questo graphic novel di mano spagnola, edito da Tunué, già dal 2007 incassa premi come miglior fumetto e miglior sceneggiatura prima in Spagna e di seguito proprio in Italia.
Mi viene da chiedermi, scetticamente, è davvero tutto così meritato? Di certo, sfogliandolo velocemente potrebbe non attirare molto, con la sua colorazione a tinte piatte, tra il giallo, il celeste e il verde, tutti piuttosto spenti: si ha subito l'idea di un ambiente smorto, incupito. Per cui bisognerebbe superare quest'attimo di titubanza prima di immergersi seriamente nella sua lettura e nel capire il perché della scelta di questo tipo di colorazione. Superato questo scoglio iniziale (che ammetto, magari potrebbe essere solo una mia personalissima paturnia), se ne resta seriamente sorpresi e spiazzati al contempo, tanto la lettura tenda ad essere particolare e impossibile da tralasciare.

Non è per niente un fumetto semplice, a mio avviso, sebbene la storia sia narrata in modo scorrevole e sia pervasa da un umorismo sottile e piacevole; gli argomenti che vengono sciorinati lungo tutta la storia creano un misto di sensazioni contrastanti, che vanno dalla tristezza alla commozione, dal sorriso divertito al sorriso amaro, dalla lucida consapevolezza della realtà di cui facciamo parte all'oblio. È una disarmante nonché inevitabile lotta silente, una sfida che si presenta in maniera subdola e dalla quale non si può fuggire: il corpo invecchia, la mente invecchia.
Cosa succede se a questo si aggiunge l'ipotesi certa di una patologia come l'alzheimer?
«chiamateci maggiori poiché solo viviamo di dolori» o, ancora meglio, «chiamateci maggiori perché non possiamo muoverci senza tremori.»
I peggioramenti di Emilio, il protagonista, inducono il figlio a rinchiuderlo in una residenza per anziani, con la scusa lava-coscienza "siamo molto impegnati con il lavoro e tutto il resto". Emilio è spiazzato, si sente perso, abbandonato, come quando si affronta il primissimo giorno di scuola e si vorrebbe tanto tornare indietro con la madre piuttosto che rimanere insieme ad altri simili che non si conoscono affatto, sotto la supervisione di uno sconosciuto che incute timore. Ma è troppo tardi e non gli resta che abituarsi all'idea ed ambientarsi in quel luogo che sa di triste ad ogni passo. Conoscerà Miguel, il suo compagno di stanza, con il quale affronterà la routine deprimente della residenza, in un continuo di attese tra il dormire e il mangiare e il dormire e il mangiare, spezzato soltanto dal momento della terapia.
Eppure in questo monotono avvicendarsi, le caratteristiche antitetiche dei vari personaggi, che incarnano le differenti reazioni alle sensazioni di abbandono da parte della famiglia, concorrono a creare una sorta di movimento che affianca la progressione incessante della malattia. Emilio e Miguel stringeranno un rapporto amicale via via più forte, che, da un lato, vedrà la crescente insicurezza del primo, non accettando il fatto di essere prossimo alla non autosufficienza, dall'altro la spavalderia di chi non ha mai amato nessuno nella vita, non ha avuto figli e non ha nessun legame su cui contare. Sarà proprio la loro amicizia il culmine della storia: Emilio troverà in Miguel qualcuno che si prenda cura di lui, Miguel troverà in Emilio il motivo per una sorta di espiazione dei soprusi che ha da sempre fatto sugli altri anziani residenti nella casa di cura.
È un testo ricco di spunti di riflessione, senza ombra di dubbio. Mi sono fermato a rileggerlo più volte, perché ad ogni rilettura saltava fuori una sfumatura non colta o, semplicemente, si aprivano ulteriori spunti. Pensiamo ad esempio al rapporto padre-figlio, a come la vecchiaia del primo molto spesso non venga accettata come l'infanzia del secondo, a come la nuova società sembra inadatta a perdere tempo per offrire cure a chi si è preso cura, a come sia di gran lunga più facile delegare. Pensiamo ad esempio alla gestione di una casa di cura, dove un anziano è merce, in cui l'assistenzialismo a volte non è dignitoso, dove spesso si respira solo aria malsana e malinconica. Pensiamo a tutto ciò e, soprattutto, pensiamo a come un Emilio qualsiasi possa sentirsi, perché non è difficile a credersi, ma, prima o poi, molti di noi potrebbero essere un Emilio.
Ad ogni modo, che dire, è un testo particolare, crudo, forte, uno di quei testi che ti segnano. Ed è disegnato e colorato in maniera impeccabile. Lo consiglio vivamente, soprattutto a chi non considera il fumetto solo come inutile passatempo da spiaggia e preferisce anche testi impegnati. Quest'opera di Paco Roca ne ha tutte le caratteristiche.
Eppure in questo monotono avvicendarsi, le caratteristiche antitetiche dei vari personaggi, che incarnano le differenti reazioni alle sensazioni di abbandono da parte della famiglia, concorrono a creare una sorta di movimento che affianca la progressione incessante della malattia. Emilio e Miguel stringeranno un rapporto amicale via via più forte, che, da un lato, vedrà la crescente insicurezza del primo, non accettando il fatto di essere prossimo alla non autosufficienza, dall'altro la spavalderia di chi non ha mai amato nessuno nella vita, non ha avuto figli e non ha nessun legame su cui contare. Sarà proprio la loro amicizia il culmine della storia: Emilio troverà in Miguel qualcuno che si prenda cura di lui, Miguel troverà in Emilio il motivo per una sorta di espiazione dei soprusi che ha da sempre fatto sugli altri anziani residenti nella casa di cura.
«Dobbiamo fare qualcosa. Approfittare di questi ultimi anni di vita. Vogliamo dormire e giocare al bingo mentre aspettiamo la morte?»
«E che vuoi fare?»
«Non lo so. Tentiamo di cambiare il mondo. È una missione seria e non possiamo lasciarla fare ai giovani. Loro hanno già tanti pensieri con il sesso e le droghe...»
«Miguel, di colpo ti è arrivata la demenza senile. Ti ricordo che siamo vecchi e per questo dobbiamo fare cose da vecchi.»
«Proprio perché siamo vecchi non abbiamo niente da perdere. Nemmeno andando in prigione. Aspettatemi fra tre ore nel retro del giardino.»
È un testo ricco di spunti di riflessione, senza ombra di dubbio. Mi sono fermato a rileggerlo più volte, perché ad ogni rilettura saltava fuori una sfumatura non colta o, semplicemente, si aprivano ulteriori spunti. Pensiamo ad esempio al rapporto padre-figlio, a come la vecchiaia del primo molto spesso non venga accettata come l'infanzia del secondo, a come la nuova società sembra inadatta a perdere tempo per offrire cure a chi si è preso cura, a come sia di gran lunga più facile delegare. Pensiamo ad esempio alla gestione di una casa di cura, dove un anziano è merce, in cui l'assistenzialismo a volte non è dignitoso, dove spesso si respira solo aria malsana e malinconica. Pensiamo a tutto ciò e, soprattutto, pensiamo a come un Emilio qualsiasi possa sentirsi, perché non è difficile a credersi, ma, prima o poi, molti di noi potrebbero essere un Emilio.
Ad ogni modo, che dire, è un testo particolare, crudo, forte, uno di quei testi che ti segnano. Ed è disegnato e colorato in maniera impeccabile. Lo consiglio vivamente, soprattutto a chi non considera il fumetto solo come inutile passatempo da spiaggia e preferisce anche testi impegnati. Quest'opera di Paco Roca ne ha tutte le caratteristiche.